
L’istituto dei patti parasociali nasce e si sviluppa nella prassi societaria per essere poi espressamente regolamentato dal legislatore del 2003 con l’introduzione degli artt. 2341bis e ter c.c.
Definizione: in assenza di una specifica definizione legislativa, i patti in oggetto possono essere comunque qualificati come accordi sottoscritti da due o più soggetti ( soci ovvero soci e un terzo ), aventi vario contenuto riconducibile ai diritti che nascono dal contratto sociale. Si tratta essenzialmente di una categoria generale, riconducibile alla categoria dei contratti atipici ( art. 1322 c.c. ) attraverso i quali vengono regolate situazioni giuridiche riguardanti la disponibilità dei titoli emessi dalla società, l’esercizio dei diritti sociali, i rapporti con la società stessa.
Giurisprudenza: la Suprema Corte si è più volte interessata degli accordi in oggetto. In particolare ha affermato che “ i patti parasociali sono, nella loro composita tipologia, accordi atipici, volti a disciplinare, in via meramente obbligatoria tra i soci contraenti, il modo in cui dovrà atteggiarsi, su vari oggetti, il loro diritto di voto in assemblea; il vincolo che discende da tali patti opera, pertanto, su di un terreno esterno a quello dell’organizzazione sociale. “ ( Cass. Civ. n. 14865/2001 ). L’art. 2341bis c.c., introdotto, come già accennato, nel corpus del codice civile con la riforma del diritto societario ( D.lgs. n. 6 del 2003 ) richiama al primo comma la finalità dei patti in oggetto individuandola nella “stabilizzazione degli assetti proprietari” e “ il governo della società”. Si attribuisce ad essi, quindi, una fondamentale funzione conservativa nell’organizzazione e nella gestione della società. Il contenuto dell’accordo può essere il più vario. Devono tuttavia considerarsi illegittimi quando sussiste contrasto con norme imperative ovvero elusione di norme o principi generali dell’ordinamento inderogabili ( Cass. Civ. sent. n. 8221 del 2012 ).
Sindacati di voto: muovendo dal dato normativo, i patti parasociali possono regolamentare anzitutto “ l’esercizio del diritto di voto nelle società per azioni o nelle società che le controllano” ( art. 2341bis 1° comma lett. a). Si tratta dei c.d. sindacati di voto. In essi è previsto, a carico dei soci sottoscrittori, l’obbligo di esercitare il diritto di voto secondo quanto prescritto in modo tale da assicurare un indirizzo unitario alla organizzazione e gestione della società. Possono avere ad oggetto tutte le delibere o soltanto determinate categorie, quali ad esempio la nomina dei componenti degli organi sociali e le operazioni sul capitale sociale.
Non rientrano nell’ambito di applicazione della norma ut supra illustrata i c.d. patti di consultazione ( richiamati nell’art. 122 c. 5 lett. a D.Lgs. 58/98 – T.U. Finanza ) ove i soci assumono semplicemente l’impegno a discutere le scelte di voto che ciascuno compirà, senza che a ciò si accompagni alcun vincolo in ordine alla manifestazione del voto stesso. Risulta assente quella funzione di stabilizzazione circa il governo della società che costituisce il quid fondamentale dei patti parasociali disciplinati dall’art. 2341bis c.c.
Sindacati di blocco: altro possibile contenuto dei patti in oggetto, espressamente richiamato dal legislatore del 2003, riguarda i “ limiti al trasferimento delle relative azioni o delle partecipazioni in società che le controllano ( art. 2341bis 1° comma lett. b). Tradizionalmente vengono qualificati come sindacati di blocco.
Vi rientrano, anzitutto, i patti che escludono la trasferibilità delle partecipazioni. Dottrina e giurisprudenza ammettono limiti di carattere assoluto alla trasferibilità delle azioni purchè sia prevista una durata limitata nel tempo e vi sia l’apprezzabile interesse della società. E’ possibile poi che vietino la costituzione di vincoli sulle azioni quali usufrutto, pegno ovvero prevedano specifiche forme e procedure di prelazione. Rientrano nel campo di applicazione della norma anche i patti di covendita, con i quali i soci si impegnano a trasferire le azioni solo quando il terzo sia disposto ad acquistare tutte le partecipazioni indicate, ovvero danno il diritto di vendere, oltre alle proprie partecipazioni, anche quelle di uno o più aderenti al patto.
Patti di concertazione: infine, è possibile che l’accordo abbia “ per oggetto o per effetto l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante su tali società” ( art. 2341bis 1° comma lett. c). Sono questi i c.d. patti di concertazione. Parte della dottrina qualifica la disposizione in oggetto come clausola generale idonea a ricomprendere tutti i patti che, pur non costituendo un sindacato di voto né risultando assimilabili ai sindacati di blocco, attribuiscano ad una o più parti un’ influenza dominante su una società per azioni o sulla società che la controlla. Di fatto, ci si trova di fronte ad accordi ove i soci regolamentano i loro rapporti prevedendo, per ogni singola decisione strategica ovvero per la nomina delle cariche sociali e dei dirigenti più importanti, adeguata discussione e deliberazione in organi cui partecipano i soci i quali, congiuntamente, esercitano di fatto il potere di controllo.
In ciascuno degli accordi precedentemente illustrati il vincolo può avere una durata limitata nel tempo ovvero risultare a tempo indeterminato. Nel primo caso, l’art. 2341bis fissa un termine massimo in cinque anni; qualora le parti abbiano previsto un termine maggiore opera il meccanismo di sostituzione automatica della clausola in applicazione dell’art. 1419 c.2 c.c. E’ fatta salva comunque la possibilità di rinnovo alla scadenza.
Nel secondo caso ( accordo stipulato a tempo indeterminato ) ciascun contraente ha la possibilità di recedere in qualsiasi momento dal patto, purchè sia dato preavviso di 180 giorni. L’art. 2341bis prevede la possibilità di stipulazione dei patti parasociali in “qualunque forma”. Agli accordi più frequentemente scritti è possibile quindi affiancare anche accordi conclusi oralmente e, secondo parte della dottrina e giurisprudenza, la loro esistenza può essere dedotta anche dal mero comportamento concludente. Ultimo, significativo, aspetto dei patti in esame riguarda l’efficacia che essi presentano e le conseguenze di una loro eventuale inosservanza.
Efficacia: dottrina e giurisprudenza sono concordi nel riconoscere agli accordi in oggetto esclusivamente efficacia obbligatoria. In tal senso si richiama ancora una volta la decisione della Suprema Corte del 23.11.2001 n. 14865 ove si legge che i patti parasociali sono “ volti a disciplinare, in via meramente obbligatoria tra i soci contraenti, il modo in cui dovrà atteggiarsi, su vari oggetti, il loro diritto di voto in assemblea. “. Configurandosi, quindi, come accordi dai quali scaturisce un rapporto esclusivamente obbligatorio, l’assunzione del vincolo in capo al socio sottoscrittore obbliga lo stesso esclusivamente nei confronti degli altri sottoscrittori. L’accordo è privo di qualsiasi rilievo rispetto alla società e ai terzi e all’esercizio da parte del socio dei suoi diritti sociali in senso difforme. Il principio viene efficacemente sottolineato dalla Corte di Cassazione con sent. n. 14626/2001 “il patto c.d. parasociale vincola, per definizione, esclusivamente i soci contraenti, e non anche la società, che è, rispetto al patto stesso, terza ”. L’inosservanza dell’obbligo può condurre alla sola richiesta di risarcimento del danno nei confronti del socio inadempiente. E’ opportuno ricordare come, in ragione delle difficoltà che talora si incontrano in ordine alla prova del danno cagionato, ricorre sovente la presenza, negli accordi in oggetto, di clausole penali ex art. 1382 c.c. attraverso le quali (salva l’ipotesi prevista dall’art. 1384 c.c.) viene determinato l’ammontare minimo del risarcimento dovuto. Si esclude, invece, secondo giurisprudenza consolidata, la possibilità per il giudice di ordinare al socio di tenere un determinato comportamento ex art. 2932 c.c.
Stefano Bartoloni
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