ABSTRACT: Le Sezioni Unite, risolvendo un contrasto giurisprudenziale, hanno deciso che l'inosservanza del
termine dilatorio di sessanta giorni per l'emanazione dell'avviso di
accertamento, previsto dall'art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n.
212, decorrente dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di
chiusura delle operazioni, comporta l'illegittimità dell'atto impositivo emesso
ante tempus, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi
Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCCIOLI Maria
Gabriella - Primo Presidente f.f. -
Dott. RORDORF Renato -
Presidente Sez. -
Dott. SEGRETO Antonio -
Consigliere -
Dott. CECCHERINI Aldo -
Consigliere -
Dott. PICCININNI Carlo -
Consigliere -
Dott. CHIARINI Maria
Margherita - Consigliere -
Dott. MAMMONE Giovanni -
Consigliere -
Dott. VIRGILIO Biagio -
rel. Consigliere -
Dott. D'ASCOLA Pasquale
- Consigliere -
ha pronunciato la
seguente:
sentenza
sul ricorso 24748/2009
proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE,
in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta
e difende ope legis;
- ricorrente -
contro
CA.BI.GEL S.a.S. DI
BILLECI FRANCESCO PAOLO & C. (OMISSIS), in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE PARIOLI
79/H, presso lo studio dell'avvocato ROSSI GIANLUCA, rappresentata e difesa
dall'avvocato CASTRONOVO GIUSEPPE per delega in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n.
86/24/2008 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di PALERMO, depositata il
05/11/2008;
udita la relazione della
causa svolta nella pubblica udienza del 14/05/2013 dal Consigliere Dott. BIAGIO
VIRGILIO;
udito l'Avvocato PAOLA
MARIA ZERMAN dell'Avvocatura Generale dello Stato;
udito il P.M. in persona
dell'Avvocato Generale Dott. APICE Umberto, che ha chiesto l'accoglimento del
ricorso.
Svolgimento del processo
1. Sulla base di un
processo verbale di constatazione, redatto il 17 settembre 2004 dai funzionari
dell'Agenzia delle entrate di Palermo, venne emesso a carico della società
CA.BI.GEL s.a.s. di Billeci Francesco Paolo e C., e notificato in data 12
ottobre 2004, un avviso di recupero relativo a credito di imposta che l'Ufficio asseriva essere stato
indebitamente utilizzato per investimenti in aree svantaggiate, ai sensi dell'art. 8 della legge n. 388 del 2000.
La società contribuente impugnò
l'avviso, contestando la legittimità dell'atto innanzitutto per violazione
della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, in quanto lo stesso era
stato emesso prima della scadenza del termine di sessanta giorni dal
rilascio della copia del processo verbale di constatazione; lamentò, poi,
errori di calcolo nella determinazione dell'importo indicato in recupero.
La Commissione tributaria provinciale
di Palermo accolse il ricorso, rilevando che l'avviso di accertamento era stato
notificato dopo soli venticinque giorni dalla redazione del processo verbale di
constatazione e che non era stata in alcun modo indicata la particolare e
motivata urgenza che avrebbe potuto giustificare la notifica dell'atto
impugnato prima del termine di sessanta giorni previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 12.
L'appello proposto dall'Agenzia
delle entrate è stato rigettato dalla Commissione tributaria regionale della
Sicilia.
Il giudice d'appello ha rilevato,
innanzitutto, a fondamento della decisione, che l'avviso di recupero del
credito di imposta è "un tipico atto di accertamento", in quanto le
attività di accertamento sono qualificabili come "quel complesso di
attività poste in essere dall'Amministrazione Finanziaria per controllare il
verificarsi o meno della fattispecie legale", e nel caso in esame
l'Ufficio aveva effettuato una fase ispettiva tendente ad accertare la
sussistenza dei presupposti voluti dalla legge perchè il contribuente fruisca
del diritto al credito.
Ha poi osservato che, dal testo
della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, "possono individuarsi
tre distinte posizioni soggettive: 1) diritto del contribuente di comunicare
osservazioni e richieste; 2) obbligo degli uffici di valutare le osservazioni e
richieste comunicate dal contribuente; 3) obbligo degli stessi Uffici di
motivare l'avviso di accertamento con specifico riferimento alle osservazioni e
richieste comunicate dal contribuente con conseguente nullità dello stesso in
caso di omessa motivazione". Ha aggiunto che la disposizione citata
prevede un contraddittorio anticipato al fine di fornire non solo maggiori
garanzie al contribuente, ma anche maggiore efficacia all'accertamento
tributario, e che essa, come tutte le altre previsioni normative contenute
nella L. n. 212 del 2000, viene elevata a
principio generale dell'ordinamento tributario dall'art. 1, comma 1, del
medesimo testo normativo.
Ha concluso che l'emissione
dell'atto impositivo prima del decorso di sessanta giorni dalla fine delle
operazioni ispettive "ha palesemente violato il diritto del contribuente a
difendersi, privandolo di un grado di valutazione delle sue ragioni, senza che
ne ricorressero validi motivi".
2. Avverso tale sentenza ha proposto
ricorso per cassazione l'Agenzia delle entrate, sulla base di un unico motivo.
3. La CA.BI.GEL s.a.s. di Billeci
Francesco Paolo e C. ha resistito con controricorso.
4. All'esito dell'adunanza in camera
di consiglio del 27 marzo 2012, la quinta sezione civile (tributaria), con
ordinanza n. 7318, depositata l'11 maggio 2012, ha rimesso gli atti al Primo
Presidente per l'eventuale assegnazione alle sezioni unite, osservando che il
tema degli effetti del mancato rispetto del termine dilatorio in esame ha dato
luogo a decisioni difformi nella giurisprudenza della sezione.
Il ricorso è stato, quindi, fissato
per l'odierna udienza.
5. La ricorrente ha depositato
memoria.
Motivi della decisione
1. Va preliminarmente
dichiarata l'inammissibilità della memoria dell'Agenzia delle entrate,
depositata il 10 maggio 2013, quindi oltre il termine stabilito dall'art. 378 c.p.c..
2. Con l'unico motivo formulato, la
ricorrente formula il quesito "se ha violato la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, la CTR di Palermo che ha
ritenuto che la notifica dell'avviso di accertamento prima dello scadere del
termine di sessanta giorni ne determini ipso iure la nullità".
Su tale questione la giurisprudenza
della quinta sezione ha dato luogo, come puntualmente rilevato nell'ordinanza
di rimessione al Primo Presidente, ad orientamenti variegati.
In estrema sintesi, si è infatti
ritenuto che l'avviso di accertamento emesso prima del decorso del termine di
sessanta giorni previsto dalla norma in esame:
a) è in ogni caso valido, per il
principio di tassatività delle nullità, "sanzione" non comminata
dalla norma (e che, anzi, era prevista nel testo originario del disegno di
legge e poi fu soppressa); per la natura vincolata dell'atto rispetto al
verbale di constatazione sul quale si fonda; perchè il contribuente ha comunque
altri strumenti a disposizione (accertamento con adesione, istanza di
autotutela, ecc.); perchè è errato riferire la nullità al difetto di
motivazione sull'urgenza, in quanto le norme sulla motivazione degli atti
tributari attengono al contenuto della pretesa, non ai tempi di emanazione
dell'atto; perchè, infine, la nullità costituirebbe una conseguenza
sproporzionata rispetto agli interessi costituzionali contrapposti (in tali
sensi, sia pure con differenti sottolineature, cfr. Cass. nn. 19875 del 2008;
3988, 18906 - la quale, tuttavia, conclude in senso opposto, in ossequio
all'orientamento all'epoca prevalente e quindi al criterio interpretativo della
conformità ai precedenti - e 21103 del 2011;
16992 del 2012);
b) è invalido solo in assenza di
motivazione dell'urgenza che ne ha determinato l'adozione ante tempus: tale
indirizzo, in applicazione di quanto affermato da Corte cost. n. 244 del 2009,
appunta, quindi, l'invalidità dell'atto al difetto di motivazione sulle ragioni
dell'urgenza di provvedere, vizio sanzionato, in generale, dalla L. n. 241 del 1990, art. 21 septies, (introdotto dalla L. n. 15 del 2005) e, in materia
tributaria, dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, e dal D.Lgs. n. 32 del 2001, (Cass. nn. 22320
del 2010; 10381 e 14769 del 2011; 4687, 11347 e 16999 del 2012);
c) è invalido in mancanza di motivi
di urgenza, poichè il mancato rispetto del termine sacrifica un diritto
riconosciuto al contribuente, con conseguente illegittimità dell'accertamento,
senza bisogno di specifica previsione (Cass. nn. 5652 e 6088 del 2011); in
particolare, inoltre, poichè la norma impone un termine per l'esercizio
dell'azione impositiva piuttosto che un obbligo di motivazione circa il
requisito dell'urgenza (obbligo che non rientra nella previsione della L. n. 212 del 2000, art. 7), l'esistenza di quest'ultimo opera
ex se, senza che, ai fini dell'esonero dall'osservanza del termine, sia
necessario che il fatto che determina l'urgenza sia enunciato nell'atto
impositivo (Cass. n. 11944 del 2012).
3.1. La L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, (Disposizioni in materia di statuto
dei diritti del contribuente), rubricato Diritti e garanzie del contribuente
sottoposto a verifiche fiscali, dispone, al comma 7, che: "Nel rispetto
del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il
rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte
degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni
osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impostori.
L'avviso di accertamento non può
essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di
particolare e motivata urgenza.
Per gli accertamenti e le verifiche
aventi ad oggetto i diritti doganali di cui all'art. 34 del testo unico delle
disposizioni legislative in materia doganale approvato con D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, si
applicano le disposizioni del D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11" (l'ultimo periodo è stato
aggiunto dal D.L. n. 1 del 2012, art. 92, convertito in L. n. 27 del 2012).
La questione sottoposta all'esame
delle sezioni unite consiste nello stabilire se l'inosservanza del termine
dilatorio di sessanta giorni per l'emanazione dell'avviso di accertamento -
termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato
effettuato un accesso, un'ispezione o una verifica nei locali destinati
all'esercizio della propria attività (art. 12, comma 1), della copia del
processo verbale di chiusura delle operazioni - costituisca, nel silenzio della
norma, una mera irregolarità sostanzialmente priva di conseguenze esterne,
ovvero dia luogo, ad eccezione di casi di "particolare e motivata"
urgenza, ad un vizio di legittimità dell'atto impositivo emesso ante tempus,
che può essere fatto valere dal contribuente al fine di ottenere, per ciò solo,
in sede contenziosa, l'annullamento dell'atto stesso.
Il Collegio ritiene di dover
adottare la seconda soluzione, per le ragioni e con le precisazioni che
seguono.
3.2. Va, innanzitutto, attribuito il
dovuto rilievo già al solo fatto che la norma in esame è inserita nello Statuto
dei diritti del contribuente (L. n. 212 del 2000 cit.), il cui
art. 1, com'è noto, stabilisce, al comma 1, che "le disposizioni della
presente legge, in attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost.,
costituiscono principi generali dell'ordinamento tributario e possono essere
derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali".
Anche se è consolidato il principio
secondo il quale alle norme statutarie non può essere attribuito, nella
gerarchia delle fonti, rango superiore alla legge ordinaria (e quindi esse non
costituiscono, neppure come norme interposte, parametro idoneo a fondare il
giudizio di legittimità costituzionale) (da ult., Corte cost., ord. n. 112 del 2013; Cass. nn. 8254
del 2009, 8145 del 2011), tuttavia alla specifica "clausola
rafforzativa" di autoqualificazione delle disposizioni stesse come
attuative delle norme costituzionali richiamate e come "principi generali
dell'ordinamento tributario" non può non essere attribuito un preciso
valore normativo: quest'ultima espressione, in particolare, e per quanto qui
interessa, deve essere intesa nel significato di "principi generali del
diritto, dell'azione amministrativa e dell'ordinamento tributari" e si
riferisce evidentemente, in primo luogo, a quelle disposizioni statutarie che
dettano norme volte ad assicurare la trasparenza e il buon andamento
dell'attività amministrativa e ad orientare in senso garantistico tutta la
prospettiva costituzionale del diritto tributario (Cass. n. 17576 del 2002). A
buona parte di dette disposizioni va attribuito il ruolo di espressione di
principi immanenti nell'ordinamento tributario, già prima dell'entrata in
vigore dello Statuto, e quindi di criteri guida per orientare l'interprete
nell'esegesi delle norme, anche anteriormente vigenti (oltre a Cass. n. 17576
del 2002, cit., cfr. Cass. nn. 7080 del 2004, 9407 del 2005, 21513 del 2006,
9308 del 2013).
3.3. Nell'ambito delle norme
statutarie, l'art. 12 assume una rilevanza del tutto peculiare, in ragione del
suo oggetto (Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche
fiscali) e delle finalità perseguite.
L'incipit del comma 7, in
particolare, nel richiamare il "rispetto del principio di cooperazione tra
amministrazione e contribuente", qualifica chiaramente la norma come
espressiva dei principi di "collaborazione" e "buona fede",
i quali, ai sensi del precedente art. 10, comma 1, devono improntare i rapporti
tra contribuente e fisco e vanno considerati (analogamente al principio di
tutela dell'affidamento, più specificamente contemplato nello stesso art. 10,
comma 2) quali diretta applicazione dei principi costituzionali di buon
andamento e imparzialità dell'amministrazione (art. 97 Cost.), di capacità
contributiva (art. 53) e di uguaglianza, intesa sotto il profilo della
ragionevolezza (art. 3), e quindi, in definitiva, come fondamenti dello Stato
di diritto e canoni di civiltà giuridica (cfr., tra le altre, oltre a quelle
già indicate, Cass. nn. 24217 del 2008, 3559 e 25197 del 2009,21070 del 2011,
6627 del 2013).
La norma, poi, introduce
nell'ordinamento una particolare e concreta forma di "collaborazione"
tra amministrazione e contribuente, attraverso la previsione di un termine
dilatorio di sessanta giorni dalla chiusura delle operazioni di verifica, prima
della cui scadenza, e salvo le eccezioni di cui si dirà, l'atto impositivo -
come la norma prescrive con espressione "forte" -"non può essere
emanato": tale intervallo temporale è destinato a favorire
l'interlocuzione tra le parti anteriormente alla (eventuale) emissione del
provvedimento, e cioè il contraddittorio procedimentale.
Quest'ultimo è andato
assumendo, in giurisprudenza e in dottrina (e nella stessa legislazione),
proprio con specifico riferimento alla materia tributaria, un valore sempre
maggiore, quale strumento diretto non solo a garantire il contribuente, ma
anche ad assicurare il migliore esercizio della potestà impositiva, il quale,
nell'interesse anche dell'ente impositore, risulterà tanto più efficace, quanto
più si rivelerà conformato ed adeguato - proprio in virtù del dialogo tra le
parti, ove reso possibile - alla situazione del contribuente, con evidenti
riflessi positivi anche in termini di deflazione del contenzioso (se non, ancor
prima, nel senso di indurre l'amministrazione ad astenersi da pretese
tributarie ritenute alfine infondate).
In ambito
giurisprudenziale è sufficiente ricordare le seguenti pronunce:
a) Corte di giustizia
dell'Unione Europea, sentenza 18 dicembre 2008, in causa C-349/07, Sopropè, con
la quale, sia pure in materia di tributi doganali, ma con evidenti riflessi di
ordine generale, è stato valorizzato il principio della partecipazione del
contribuente - il quale "deve essere messo in condizione di far valere le
proprie osservazioni" - a procedimenti in base ai quali l'amministrazione
si proponga di adottare nei suoi confronti un atto di natura lesiva;
b) Cass., sez. un., n.
26635 del 2009, con la quale, in materia di accertamento
"standardizzato", è stato affermato che "il contraddittorio deve
ritenersi un elemento essenziale e imprescindibile (anche in assenza di una
espressa previsione normativa) del giusto procedimento che legittima l'azione
amministrativa" (la Corte è così pervenuta ad affermare la nullità - non
esplicitamente comminata - degli avvisi di accertamento emessi con il metodo
dei "parametri" o degli studi di settore, in assenza di previa
attivazione del contraddittorio con il contribuente);
c) Cass. n. 28049 del 2009, nella quale, con
riguardo alla norma che prevede l'invio di un questionario al contribuente
sottoposto ad accertamento (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 4), si afferma che
essa, così come quella che prevede la comparizione personale del contribuente
(art. 32, comma 1, n. 2),si prefigge "il meritorio scopo (...) di favorire
il dialogo e l'intesa tra fisco e cittadino - rapporti che debbono essere
"necessariamente improntati a lealtà, correttezza e collaborazione, in
quanto siano in gioco obblighi di solidarietà come quello in materia
tributaria" (C. cost., sent. n. 351/2000) - e di evitare, per quanto
possibile, il ricorso a procedure contenziose"; nonchè, recentemente,
Cass. n. 453 del 2013, la quale, riprendendo il precedente ora citato, ha ritenuto, sulla base del "canone di
lealtà" che trova fondamento negli artt. 6 e 10 dello Statuto del
contribuente, che l'omissione dell'avvertimento - prescritto dalla norma a
carico dell'Ufficio - in ordine alle conseguenze derivanti al contribuente
dalla mancata risposta al questionario, e cioè l'inutilizzabilità in sede
amministrativa e contenziosa di dati e notizie non addotti, comporta
l'inoperatività di tale preclusione.
3.4. Le considerazioni
sin qui svolte consentono di giungere ad una prima conclusione: l'inosservanza
del termine dilatorio prescritto dall'art. 12, comma 7, in assenza di
qualificate ragioni di urgenza, non può che determinare l'invalidità
dell'avviso di accertamento emanato prematuramente, quale effetto del vizio del
relativo procedimento, costituito dal non aver messo a disposizione del
contribuente l'intero lasso di tempo previsto dalla legge per garantirgli la
facoltà di partecipare al procedimento stesso, esprimendo le proprie
osservazioni (che l'Ufficio è tenuto a valutare, come la norma prescrive), cioè
di attivare, e coltivare, il contraddittorio procedimentale.
La "sanzione"
della invalidità dell'atto conclusivo del procedimento, pur non espressamente
prevista, deriva ineludibilmente dal sistema ordinamentale, comunitario e
nazionale, nella quale la norma opera e, in particolare, dal rilievo che il vizio
del procedimento si traduce, nella specie, in una divergenza dal modello
normativo (non certo innocua o di lieve entità - non paragonabile, ad es., alla
omessa indicazione del responsabile del procedimento, ora sanzionata ex lege da
nullità per le cartelle di pagamento:
Cass., sez. un., n.
11722 del 2010 -, bensì) di particolare gravità, in considerazione della
rilevanza della funzione, di diretta derivazione da principi costituzionali,
cui la norma stessa assolve - sopra delineata - e della forza impediente, rispetto
al pieno svolgimento di tale funzione, che assume il fatto viziante.
A fronte di ciò, è vano
addurre sia il preteso carattere "vincolato" dell'avviso di
accertamento rispetto al verbale di constatazione sul quale si basa (tesi,
almeno se riferita - per quanto qui interessa - al contenuto del provvedimento,
chiaramente infondata), sia l'esistenza di ulteriori strumenti di tutela per il
contribuente (istanza di autotutela, accertamento con adesione, ecc.), rilievo
che, a prescindere dalle considerazioni attinenti al momento in cui tali mezzi
sono esperibili, si rivela in ogni caso inidoneo ad escludere autonoma
rilevanza alla portata precettiva della norma in esame.
4.1. Si tratta ora di
precisare come opera, in relazione al vizio di legittimità dell'atto emesso
ante tempus, la deroga prevista per i "casi di particolare e motivata
urgenza", in presenza dei quali l'Ufficio è esonerato dal rispetto del
termine dilatorio. La norma, infatti, come detto, dopo aver stabilito l'obbligo
dell'amministrazione, per le ragioni sopra ampiamente esposte, di attendere
almeno sessanta giorni dalla fine delle operazioni di verifica prima di
procedere all'emanazione dell'atto (obbligo, va rilevato, di agevole osservanza
con l'uso della minima diligenza), ha, poi, adottando un bilanciamento del
tutto ragionevole dei valori in campo, introdotto l'eccezione derivante
dall'urgenza di provvedere.
4.2. Premesso che spetta
all'interprete il compito di delineare l'oggetto e i confini di una ipotesi di
invalidità introdotta per via ermeneutica, ritiene il Collegio di dover
preferire l'orientamento che fa derivare l'illegittimità non già dalla
mancanza, nell'atto notificato, della motivazione circa la ricorrenza di un
caso di urgenza, bensì dalla non configurabilità, in fatto, del requisito
dell'urgenza.
Deve, infatti,
condividersi l'osservazione (presente in più pronunce di questa Corte, sopra
citate, anche se poi pervenute ad esiti diversi) secondo cui l'obbligo di
motivazione degli atti tributari, assistito da sanzione di nullità in caso di
inottemperanza, è quello che ha ad oggetto il contenuto sostanziale della
pretesa tributaria, cioè "i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche" che hanno
determinato la decisione dell'amministrazione (art. 7, comma 1, dello Statuto,
seguito, in relazione alle singole imposte, dal D.Lgs. n. 32 del 2001), non essendo,
invece, necessario dar conto, in quella sede (e, comunque, non a pena di
invalidità, salvo eccezioni espresse), del rispetto di regole procedimentali,
quali, come nella specie, quelle attinenti al tempo di emanazione del
provvedimento: l'osservanza delle regole del procedimento, infatti, ove
contestata, sarà oggetto di dibattito e di valutazione nelle sedi stabilite
(amministrativa in caso di istanza di autotutela,
contenziosa in caso di ricorso al giudice tributario).
Nè, in senso contrario,
è condivisibile la tesi secondo la quale, nella norma in esame, la motivazione
dell'urgenza è esplicitamente prescritta.
In primo luogo,
l'espressione "salvo casi di particolare e motivata urgenza" non
appare in sè decisiva, poichè non individua con certezza nell'atto impositivo
la (unica) sede in cui la "motivata urgenza" deve essere addotta
dall'Ufficio: l'uso del termine "motivata" non implica, infatti,
necessariamente il richiamo alla motivazione dell'avviso di accertamento.
In secondo luogo, e
comunque, deve ritenersi che risponda a criteri di equilibrio degli interessi
coinvolti e di ragionevolezza far dipendere la validità o meno dell'atto emesso
ante tempus dalla sussistenza o meno, nella realtà giuridico - fattuale, del
requisito dell'urgenza, anzichè dalla circostanza (avente valore del tutto
secondario) che tale requisito sia, o no, enunciato nell'atto: ciò che conta,
in definitiva, ai fini dell'esonero dell'Ufficio dall'osservanza del termine
dilatorio, è unicamente il fatto che la particolare urgenza di provvedere
effettivamente nella fattispecie vi sia stata.
Ne deriva che la
questione si sposta in sede contenziosa, nel senso che, a fronte di un avviso
di accertamento emesso prima della scadenza del termine de quo e privo
dell'enunciazione dei motivi di urgenza che lo legittimano, il contribuente
potrà, ove lo ritenga, anche limitarsi ad impugnarlo per il solo vizio della
violazione del termine (cfr. Cass., sez. un., nn. 16412 del 2007 e 5791 del
2008, in tema di mancato rispetto della sequenza procedimentale prevista per la
formazione della pretesa tributaria): spetterà, quindi, all'Ufficio l'onere di
provare la sussistenza (all'epoca) del requisito esonerativo dal rispetto del
termine e, dunque, in definitiva, al giudice, a seguito del dibattito
processuale (e senza, perciò, che il contribuente subisca alcuna menomazione
del diritto di difesa), stabilire l'esistenza di una valida e
"particolare" - cioè specificamente riferita al contribuente e al
rapporto tributario in questione - ragione di urgenza, idonea a giustificare
l'anticipazione dell'emissione del provvedimento.
5. In conclusione, deve
essere enunciato il seguente principio di diritto: "In tema di diritti e
garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, deve essere interpretato
nel senso che l'inosservanza del termine dilatorio di
sessanta giorni per l'emanazione dell'avviso di accertamento - termine
decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato
un accesso, un'ispezione o una verifica nei locali destinati all'esercizio
dell'attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni -
determina di per sè, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, la
illegittimità dell'atto impositivo emesso ante tempus, poichè detto termine è
posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il
quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione
costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e
contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà
impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione
nell'atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l'emissione
anticipata, bensì nell'effettiva assenza di detto requisito (esonerativo
dall'osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e
all'epoca di tale emissione, deve essere provata dall'Ufficio".
6. In applicazione
dell'anzidetto principio, il ricorso dell'Agenzia delle entrate deve essere
rigettato.
Come detto in narrativa,
infatti, il giudice di merito ha accertato che nella specie l'emanazione
anticipata dell'atto impugnato non è stata sorretta da validi motivi di
urgenza, mai addotti dall'Ufficio.
7. L'esistenza del
contrasto giurisprudenziale che ha dato luogo all'intervento delle sezioni
unite induce a disporre la compensazione delle spese del presente giudizio di
legittimità.
P.Q.M.
La Corte, a sezioni
unite, rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma, il
14 maggio 2013.
Depositato in
Cancelleria il 29 luglio 2013
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