Obesità infantile? E’ colpa della pubblicità: limitare gli effetti nocivi del marketing alimentare

I bambini ingrassano? E’ colpa della pubblicità. Lo sostiene  l’Organizzazione Mondiale della Sanità che senza mezzi termini ha puntato il dito contro le multinazionali produttrici di junk food, i cibi ad alto contenuto di grassi saturi, sale e zuccheri, che fin dalla prima infanzia bombardano i bambini con campagne pubblicitarie a tappeto, veicolando quindi immagini di hamburger appetitosi, patatine fritte e dolci ipercalorici a base di panna e cioccolato.

L’Oms chiede pertanto controlli più severi sulle pubblicità che appaiono in tv, ma anche sui nuovi media. La promozione di cibi "spazzatura” è stata infatti riconosciuta come uno dei fattori di rischio per l'obesità infantile e altre malattie croniche legate alla dieta (ad esempio, la massa grassa in giovane età aumenta sensibilmente il rischio di diabete in età adulta). Il problema interessa ormai gran parte dei Paesi industrializzati, compresa l’Italia, dove il 36% dei bambini in età scolare è in sovrappeso. Non è la prima volta che l’Oms affronta il problema: già nel 2011 aveva emanato un elenco di 12 punti per contrastare la dilagante obesità infantile e proteggere i più piccoli dal marketing.

Gli effetti nocivi degli spot- Secondo alcuni studi, sembra infatti che l’influenza delle pubblicità produrrebbe i suoi effetti nocivi già nei primissimi anni di vita. I bambini sono la categoria più facilmente condizionabile dagli spot pubblicitari perché non sono perfettamente in grado di distinguere la finzione dalla realtà. I bimbi esposti alle varie attività promozionali sarebbero quindi in grado di imparare a riconoscere marchi e loghi già prima dei quattro anni, familiarizzando con essi e diventando in questo modo più inclini a un loro consumo eccessivo. L'Institute of Medicine statunitense afferma infatti che, a partire dai 2 anni di età, i bambini americani, essendo già in grado di ricordare il nome dei prodotti, preferiscono gli spot del junk food, e consumano tale cibo in proporzione all'intensità della pubblicità. Un effetto che, come sottolinea poi l’Oms, renderebbe tali spot spot uno dei fattori di rischio per la diffusione dell’obesità infantile.

Il marketing alimentare- Molto contestabili sono quindi le “armi” utilizzate dal marketing alimentare per catturare l’attenzione dei piccoli consumatori. I bambini, essendo molto influenzabili dagli spot, riescono anche ad influenzare gli acquisti e i consumi dell’intera famiglia. Molte industrie infatti, nel promuovere i prodotti pensati per i bambini, utilizzano la tecnica di renderli apprezzabili anche per i genitori, esaltandone ad esempio alcune caratteristiche nutrizionali.

Altra tecnica sempre più usata dalle aziende alimentari è quella di rendere l’intera famiglia protagonista degli spot, rinforzando in questo modo il concetto di approvazione del prodotto anche da parte dei più grandi.

Inoltre, come spiega il dott.Antonio Lupo, medico (Comitato Amig@s Sem Terra Italia), quando i ragazzi hanno già sviluppato la capacità di discriminare i contenuti commerciali e iniziano a considerare criticamente gli input che ricevono, e questo avviene dopo i 12 anni, le strategie pubblicitarie diventano molto più sofisticate. In generale, le aziende tendono a legare gli adolescenti al “brand” attraverso la promozione di stili di vita, mostrando personaggi famosi che usano quella marca, con gli sms, o attraverso gruppi di coetanei pagati dalle aziende per diffondere informazioni sui prodotti senza che gli interlocutori capiscano che si tratta di pubblicità (il “marketing virale”).


Oggi poi non è soltanto la televisione il campo di battaglia privilegiato dalla pubblicità, ma anche Internet, sostiene l’Ogm, che è pertanto ugualmente responsabile. Infatti, l'industria del cibo utilizza sempre più spesso i nuovi media come nuovi canali pubblicitari per raggiungere i bambini, anche perché più economici, tra cui spiccano i social network e le applicazioni per cellulari. 

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